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Roma, Teatro Vascello: 'Sopra di me il diluvio' - Recensione

Roma, Teatro Vascello: 'Sopra di me il diluvio' - Recensione
Autore: Recensione della nostra inviata Susanna Schivardi
Data: 03/11/2015

Uno spettacolo ardito e sconcertante, quello proposto dalla Compagnia Enzo Cosimi, in collaborazione per la coreografia e l’interpretazione di Paola Lattanzi, unica protagonista, al Teatro Vascello fino al 1 novembre. Una performance di quaranta minuti in cui viene raccontata la storia del mondo e la crudele umanità, attraverso gli occhi di Enzo Cosimi, applaudito e ammirato al Premio Danza&Danza di cui è vincitore nel 2014.

Presentato in tutti i più importanti festival di danza italiani, lo spettacolo si svolge su una coreografia scabra, fatta di ossa umane e animali sproporzionate, due poltrone barocche agli angoli di un ipotetico quadrato attorno al quale Paola Lattanzi svolge i suoi movimenti estremi. Il fisico asciutto della ballerina la esula da quella che è una sfera sessuale, anche quando si denuda completamente per ricoprirsi di fasce elastiche in cui sono incastrati pezzi di ossa, per incarnare un rituale primitivo che riporta alle origini del mondo. La sua sembra una lotta contro le belve feroci che popolano la nostra mente, il suo ruggito sembra quello di un animale ferito, la dimensione onirica e ultraterrena ci riporta direttamente alle origini dell’esistenza, laddove tutto ha avuto inesorabilmente inizio, per continuare in una narrazione esplosiva e piena di pathos.

Paola Lattanzi si dimena, urla ferocemente, incastra la testa in una scatola e ne esce fuori con un nastro rosso in bocca che penzola, come una preda dissanguata. Al centro della scena un televisore analogico che alla fine della performance si accende e manda in onda da un vecchio Vhs immagini di un’Africa dilaniata dalla ferocia della guerra e dalla disumanità degli eserciti. Solo, sullo sfondo, un alito di respiro si diffonde quando si vede proiettato un bambino che rema e alzando le mani sembra quasi arrendersi o inneggiare ad una nuova speranza. Sulle immagini della violenza, la danzatrice si rotola sul pavimento soffrendo insieme alle vittime della carneficina. La storia del mondo è un susseguirsi di sanguinolente lotte fratricide e la chiusura non lascia spazio all’altrove ma solo ad un qui e ora che inequivocabilmente si confonde con l’incomprensione e la distanza. L’interprete esausta è truccatissima, magrissima e tirata allo spasimo in ogni movimento che compie, nello sforzo spasmodico di comunicare la fatica di esistere che tanta parte di genere umano conosce e subisce. La musica lugubre e incalzante è frutto dell’estro originale di Chris Watson, Petro Loa e Jon Wheeler, geni assoluti e  creatori di atmosfere e allusioni sonore.




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