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Teatro Vascello, Le vie del Festival: 'Ritratto d' Italia' - Recensione

Teatro Vascello, Le vie del Festival: 'Ritratto d' Italia' - Recensione
Autore: Recensione della nostra inviata Susanna Schivardi
Data: 26/09/2015

La prima assoluta di questo spettacolo, al Teatro Vascello, il 24 settembre, un Ritratto d’Italia per la manifestazione Le Vie del Festival, tratto dal leopardiano Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani. Interpretato da Fabrizio Falco e Sara Putignano, i quaranta minuti esatti in cui si svolge lo spettacolo hanno in sé il seme di un’idea ma senza lo sviluppo necessario perché questa esploda. I due interpreti, teatralmente preparati, non sanno ancora dare il giusto pathos alle parole che senza anima rimangono piatte e schiacciate sul palcoscenico.

Il discorso leopardiano è complesso, intricato, filosoficamente altissimo e difficile da seguire senza sprazzi di luce che ogni tanto risveglino l’attenzione.  Il duetto incalza faticosamente, si aggroviglia in un lessico altisonante, Leopardi nell’Ottocento ha avuto illuminazioni insolite che però con difficoltà penetrano nella realtà di oggi, nella complicazione dei tempi attuali. Se anche il progetto fosse stato quello di usare Leopardi per parlare di noi, si sarebbe dimostrato tentativo obsoleto e stanco. A che pro?

Non abbiamo già canali sufficienti per soffermarci sulla realtà che ci circonda? Che cosa ha da dire di più il teatro? Non ci serve il discorsone che ci punti il dito addosso, facendoci anche sentire in colpa. Serve un’arte che non racconti sé stessa ma che attraverso sé stessa rappresenti la realtà con metafore e storie. Mettere in scena un dialogo leopardiano è un’impresa non facile, perché oltre le parole servirebbero carne umana e sofferenza a farci vedere chi siamo e dove stiamo andando. La realizzazione scenica non aiuta a seguire il filo del discorso, è scura, luci basse, solo a tratti abbaglianti ma mai originali.

Sullo sfondo una piccola platea riempita con manichini e maschere bianche, immobili resti di un’umanità disfatta. I due protagonisti, le due voci si muovono anche tra il pubblico, con coni di luce che dovrebbero enfatizzare l’intento. Ma non riesce e il risultato è sempre uguale. Ai lati del palco due sedute di spettatori ad accompagnare lo svolgimento, a creare calore in uno spettacolo che non esprime quanto vorrebbe, nel tentativo di ammonire senza dire nulla di nuovo, con movenze statiche e invenzioni sceniche senza originalità. Si è cercato di trovare un bagliore di innovazione ed enfasi ma l’unico elemento che nella piattezza generale emerge è l’eterna sapienza di Leopardi che, dopo due secoli, ha ancora qualcosa da dire. Ma questo appunto lo ha fatto il poeta, gli attori lo avrebbero dovuto interpretare e non ci sono riusciti.




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