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Nicola Simone Cisternino, Yoris Petrillo e Giacomo Severini Bonazelli sono tre ballerini sul palco del teatro Vascello, il 22, 23 e 24 aprile, che danzano per un’ora di performance a raccontarci Don Quijote nella visione grottesca e surreale di Yoris Petrillo. Musiche dissonanti, suoni assordanti, giochi di luci simbolici e arditi, per una metafora storica della vicenda del celebre Don Chisciotte e del suo inseparabile amico Sancho Panza. Ne esce fuori un bluff, un coacervo di luoghi comuni che ingaggiano la polemica sterile contro i nostri tempi, urlata attraverso un microfono smilzo al lato del palcoscenico, mentre i ballerini si vestono e si svestono (spesso), ridicolizzando la storia e il passato. Le loro mutande bianche e sciatte non significano nulla di fronte al nudo blasfemo che ostentano, tenendo però una mano lì davanti. Come per dire avremmo potuto osare ma non l’abbiamo fatto. Urlano senza gridare, strazianti parole gorgheggiano fuori da gole irritate a inneggiare contro la società, la corruzione, il capitalismo, l’ingiustizia, in un dissonante e finale fremito in cui il nostro eroe preferisce infangarsi la faccia insanguinata piuttosto che cedere a Loro. Che sarebbero poi i soliti industriali senza scrupoli e bancari causa della rovina del mondo. Peccato che tutto questo in una sola ora si sarebbe potuto raccontare molto meglio di come hanno fatto questi tre volenterosi interpreti, tra cui Yoris Petrillo, già noto per la sua attività di coreografo e regista. Il tentativo zoppicante non convince, butta lì cose enormi senza approfondirle, laddove l’emozione sarebbe potuta montare ed esplodere, è rimasta invece strozzata e muta, come quando uno di loro tenta invano di far uscire la voce, contorcendosi le membra in uno spasmodico atto di ribellione. Il pubblico a tratti ride ma a dire il vero non c’è nulla da ridere e nemmeno sorridere. I balletti intercalati dal parlato sono comuni, scolastici, non brillano di spettacolarità, anche se i ballerini sul palco sudano tanto, forse troppo. Il messaggio arriva solo perché conosciamo bene il Don e la sua vaghezza fantasiosa, il suo idealismo, la sua bizzarria infantile. Il nostro eroe nell’immaginario contemporaneo appare come un deluso, irriverente, sarcastico e rassegnato. Tutto questo però è troppo detto e poco rappresentato, delicatamente didascalico e poco incisivo, galleggia su un vorrei ma non posso che lascia lo spettatore per troppo tempo in attesa di un brivido che non arriva mai. Uscendo dal teatro non ci si rammarica che sia già finito, ci si chiede piuttosto dove siano finiti i pezzi mancanti. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 21/12/2024 05:49:00 |
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