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In questi giorni, molti cittadini Italiani stanno ricevendo una lettera dall’Inail, Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. L’Ente comunica l’obbligo di aderire all’assicurazione obbligatoria per “casalinghe e casalinghi”. 12,10 euro di premio l’anno da versare alla Posta attraverso il bollettino di conto corrente postale allegato alla missiva. Unica deroga al versamento di tale premio, avere un reddito personale di massimo 4.648,11 euro all' anno o familiare complessivo non superiore a 9.296,22 e l’esenzione non scatta automaticamente. Bisogna presentare la documentazione, con perdita di tempo e denaro se ci si rivolge a un Caf. E’ quantomeno singolare apprendere chi sono le persone “obbligate” ad assicurarsi, in considerazione dei tempi che stiamo vivendo e subendo. La legge 493/1999 stabilisce che sei obbligato ad assicurarti contro gli infortuni in ambito domestico se:
sono ricompresi nell’assicurazione:
Chi non deve assicurarsi.
Cosa c’è di singolare? Innanzitutto, l’obbligatorietà. Essere obbligati per Legge ad assicurarsi nel caso in cui non si sia in possesso di un contratto di lavoro, può aver senso in tempi diversi, quando il tasso di disoccupazione e di precariato non siano ai livelli attuali. Far pagare un premio assicurativo ai giovani disoccupati o ai cassaintegrati, è sicuramente incoerente. Costoro, durante il corso dell’anno, possono ambire a trovarlo un lavoro e allora? Ecco che i soldi versati perdono qualsiasi tipo di vantaggio per il cittadino ma rimangono incollati alle casse dell’Inail. Anche i lavoratori stagionali sono un elemento di singolarità. Se lavoro tre mesi, poi faccio una pausa di due e poi torno a lavorare per altri tre, io intanto verso l’intero importo del premio ma non sono coperto dall’assicurazione nei periodi in cui presto la mia opera lavorativa. Come si potrà esser certi che le comunicazioni di fine attività lavorativa giungano in tempo utile per coprire l’assicurato durante l’arco di tempo in cui resta senza lavoro? Oltretutto, come si fa a dimostrare il caso contrario, e cioè che si sta in casa perché non si lavora ma in effetti non si contribuisce al governo della casa? Secondo i parametri di Legge, basta avere 18 anni e non lavorare per essere obbligati a pagare, persino se non si vive sotto lo stesso tetto. Quanti sono i giovani che a tutti gli effetti “lavorano esclusivamente in casa per la cura dei componenti della famiglia”? A mio avviso, pochi. Davvero pochi. Non siamo più l’Italia in cui le donne stavano a casa a fare le casalinghe e gli uomini uscivano per lavorare e tutto ciò rappresentava la normalità. Le casalinghe e i casalinghi di oggi, sono persone in età lavorativa che non lavorano solo perché il mercato del lavoro è stato messo in crisi. Non sarebbe stato più giusto allora, e più coerente, proporre una Legge del genere quando il numero dei casalinghi volontari era uno status sociale e non determinato dall’impossibilità di trovare un mestiere con tanto di contratto a norma di Legge? Oltretutto, cosa dovrebbero fare le persone che invece lavorano ma a nero? Sborsare i 12,91 euro l’anno e fingere di non lavorare per stare a posto con questa Legge? E’ una follia in tutti i sensi. Invece di pensare a soluzioni valide per proteggere i lavoratori a nero, li si mette nella condizione di dover scegliere di negare la propria posizione lavorativa illegale e onorare una Legge fatta male. Perché questi lavoratori invisibili a qualsiasi statistica nazionale oltre al danno di non avere alcun tipo di garanzia devono anche “obbligatoriamente” pagare un premio assicurativo fingendo di svolgere solo un’attività privata di cura della casa? Se subiscono un incidente sul posto di lavoro, per potersi garantire un risarcimento dovranno quindi fingere di aver avuto un incidente in casa mentre svolgevano attività per la cura dei componenti della famiglia, pagare una mazzetta al medico e sperare di farla franca? E’ bene anche sapere che, quest’assicurazione – entrata in vigore nel 2001 – paga solo infortuni gravi che determinino una disabilità permanente di almeno il 27%. Significa che per ottenere un risarcimento, come minimo bisogna perdere l’uso di una mano se non l’amputazione della stessa. E un 33% d’invalidità permanente darebbe diritto a un assegno mensile di meno di 200 euro (Nel 2007 è stato inserito anche il caso morte, che produrrebbe una rendita ai familiari) Oltre tutto ciò, come potrà un cittadino produrre le prove che un incidente è avvenuto in casa mentre si espletavano servizi utili al mantenimento della famiglia? Chi determinerà caso per caso gli accadimenti? Di certo, come sempre, abbiamo solo poche cose. L’obbligo di aderire. L’incertezza di essere risarciti in caso di sinistro. La certezza di pagare – con gli arretrati – una somma pari al premio annuo, in caso di non adempimento. Un’altra certezza per finire: quella che anche questo sia solo un metodo per batter cassa. ©Tutti i diritti riservati. La diffusione è concessa esclusivamente indicando chiaramente il nome dell'autore e il link che riporta a questa pagina |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 22/11/2024 02:57:15 |
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