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'Hotel Belvedere' in scena al Teatro Vascello dal 17 al 22 Marzo

'Hotel Belvedere' in scena al Teatro Vascello dal 17 al 22 Marzo
Autore: Susanna Schivardi - Redazione Cultura
Data: 21/03/2015

Dal 17 al 22 Marzo sul grande palco del teatro Vascello, sette attori del Teatro Metastasio Stabile della Toscana, guidati dal regista Paolo Magelli, offrono la messa in scena di Hotel Belvedere, testo del 1923 dell’appena ventenne austriaco Ödön von Horváth. Sette attori per un panorama desolante e sciatto, come l’albergo dove si svolge la vicenda, allegoria eccentrica di un’Europa in disfacimento.

Tra la prima e la seconda guerra mondiale, quando si inabissa l’utopistica visione dell’Impero Austro-Ungarico ed emerge una borghesia mitteleuropea già proiettata verso il Nazionalsocialismo. Attenzione agli ori e agli argenti dei tempi dello Jugendstil, perché la caduta è vicina. L’Europa che crolla è allegorizzata perfettamente da questa versione drammatica di vicende umane e fisiche alternate su un palco quasi spoglio. In tre atti si consumano drammi di vario genere, in cui uomo e donna configgono fino a farsi del male anche psicologico. Nella parte di Strasser, il direttore dell’hotel, c’è Fabio Mascagni, marionetta nelle mani di una contessa decaduta e decadente interpretata da Valentina Banci.

Donna ricca e annoiata che si diletta nel collezionare amanti che nell’ordine sono l’autista tuttofare (Francesco Borchi) e il cameriere sregolato (Daniel Dwerryhouse),  per non parlare della sua dedizione all’alcol che alla fine dei tre atti la rende sgradevole e riprovevole. In un andamento lento e carico delle tensioni intrinseche del testo, il vero colpo di scena è l’entrata di Christine (Elisa Cecilia Langone), il perno su cui si giocano i due atti finali.

Rincorre il suo amato Strasser da cui dice di aspettare un figlio, e lei, negletta, creduta povera, per gran parte del secondo atto viene messa alla berlina e addirittura fatta oggetto di violenza. Senza pietà rigettata dal gruppo, verrà reintegrata solo quando farà sapere di essere in realtà una ricca ereditiera. A quel punto la fame di ricchezza smuove i pretendenti, raffigurando tristemente la corsa al denaro su cui si sta muovendo la nuova ideologia capitalistica europea, in un crescente disagio che si trasforma in parodia dei tempi, non tanto diversi quelli di oggi dagli anni in cui il testo fu scritto. Tra bevute infinite di bollicine, sbavature di rossetto, vomito, violenza, sguaiataggine e insolenza, il menefreghismo di questa allegra brigata sprigiona tutto il suo dissenso nell’emblematica scena in cui i sette personaggi si cibano della cartina dell’Europa.

La storia si sfalda, e senza più punti di riferimento i sentimenti annegano in una corsa fratricida all’oro. Dove poi nessuno in verità giunge se non al capolinea della propria inutile esistenza. Con un palco sormontato da uno sfondo bianco retroilluminato, gli arredi si compongono di poche sedie in stile e qualche divano, poi dismessi alla fine del secondo atto, quando la scena si svolge sotto i fari abbassati del palco.

Orpelli inutili o illuminazione ravvicinata per avere una visione più oggettiva della verità? La musica incalzante di Alexander Balanescu invade lo spazio e a volte esagera senza però sminuire lo svolgersi dei fatti, anzi corrompendo ancor di più la visione già poco edulcorata di una società in via di distruzione. Brillante l’uso del palcoscenico, tra gabbie nascoste e porte che all’improvviso si aprono e svelano mondi collaterali da e verso cui gli attori agiscono, entrando ed uscendo completamente privi di obiettivi, persi dietro a loro stessi, sudici, immorali e ipocriti. Come l’idea di un’Europa unita che nella mente di un giovane ventenne prendeva le forme di un essere mostruoso e disfatto. 




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