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Dal 27 gennaio al 1 febbraio uno spettacolo innovativo e a tratti scioccante della Compagnia La Fabbrica. Per la regia di Fabiana Iacozzilli, luci di Davood Kheradmand e scene a cura di Matteo Zenardi, con Simone Barraco, Elisa Bongiovanni, Francesco Zecca, Marta Meneghetti, Rmaona Nardo’, Giada Parlanti. La trilogia si compone di tre sketch, Aspettando Nil, già vincitore del Underground Festival a New York nel 2010 e il PlayFestival nel 2013 in Italia, Quando saremo grandi e Hansel e Gretel. Il giorno dopo. Sulla falsariga di waiting for Godot, l’apparente anacronistico beckettiano ritorna a ispirare quest’attesa rappresentata in una facies farsesca e saggia, commovente e anche drammatica. La scena scarna, due sole attrici - Elisa Bongiovanni e Giada Parlanti- per la prima delle tre parti, Aspettando Nil, in cui due donne, madre e figlia si confrontano in un duetto esilarante. La madre su una sedia a rotelle, malata, mostra tutti i segni del decadimento psicologico mentre la figlia, disadattata e già con i capelli bianchi, già vecchia, è completamente succube del rapporto madre-figlia in cui la madre è suo aguzzino e carnefice. Aspettano un fantomatico uomo ricchissimo e bello che le salverà dalla loro tragedia. Ma non è così, perché Nil non arriva e loro soprattutto non sono mai pronte per questa epifania. Si aggrovigliano continuamente sul loro rapporto non rapporto di amore odio, sfiducia e fedeltà in cui più che da ridere viene da pensare se poi questa attesa sia valsa a qualcosa. Specchio di una società che corre, mentre diseredati, abbandonati, malati mentali e poveracci attendono una salvezza, questa trilogia racconta di rapporti in crisi e molta incomprensione. Nell’attesa pare che accada qualcosa, in realtà non succede nulla, contraddizione eterna delle nostre esistenze. In Quando saremo grandi tre bambini attendono che la mamma li vada a prendere ma lei non arriva mai, si è dimenticata di loro? Hansel e Gretel invece attendono che il papà li salvi dall’atrocità della loro condizione. Non arriva nessuno. E se aspettare fosse inutile? Però come diceva Cesare Pavese aspettare è ancora un’occupazione, il non aspettare niente è terribile. Nel primo episodio l’attesa è fonte di vita per le due donne che altrimenti non avrebbero nemmeno motivo di comunicare. Si devono preparare, è questo il motto. E nel farlo sono di una lentezza esasperante, i loro corpi sono come inchiodati al terreno, hanno difficoltà a camminare, girano su loro stesse in uno spazio microscopico come lo è il loro orizzonte, immalinconendosi sulle note di una dolce canzone che dice “lontano lontano nel mondo in un sorriso sulle labbra di un altro troverai quella mia timidezza per cui mi prendevi un po’ in giro…” di Luigi Tenco, intimo e smielato, con quella tenerezza che sa di tragedia, come la storia di questi disperati che sul palcoscenico raccontano le loro vite folli, malconce e sgraziate. Le trovate delle due attrici di Aspettando Nil provocano sorriso amaro e all’inizio quando appaiono nude con la schiena curva, il petto abbandonato, scarnificate, spiacevoli alla vista, colpiscono per una certa impavida mancanza di vergogna tipica degli incoscienti. In un mondo dove nessuno guarda l’altro veramente ci si può presentare nudi e non essere visti. Un po’ come la generazione di oggi che soffre di un tempo che col suo peso scorre e imperturbabile schiaccia tutto, anche le speranze. Una generazione difficile che non sa muoversi, non sa spezzare cordoni ombelicali infiniti e non riesce ad emanciparsi dai limiti che si auto impone. Come se aspettare fosse l’unica soluzione senza essere poi mai capaci di agire e risolvere. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 26/12/2024 10:35:41 |
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