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Dietro richiesta di molti lettori, pubblichiamo nuovamente l'articolo del nostro Direttore responsabile Emilia Urso Anfuso ------- L’Essere Umano è geneticamente corretto per riconoscere come unico criterio determinante e preponderante su tutto, il concetto di inizio e fine. Tutto parte dal fondamento d’inizio della vita e la sua – logica (?) – conseguente fine. Partendo da un concetto così basilare legato all’esistenza - e cioè che persino la vita sia destinata ineluttabilmente a finire - per ovvie ragioni abbiamo nei millenni, o forse meglio, in milioni di anni di cosiddetta evoluzione, assimilato che ad un inizio debba per forza di cose, sempre e comunque corrispondere una fine. Qualsiasi cosa faccia parte della vita, ha un inizio e una fine. Il giorno finisce con il giungere della sera. E viceversa. Un lavoro viene iniziato e finito. Persino i sentimenti, emozioni che scaturiscono da una incredibile serie di sinapsi a loro volta collegate ad altre percezioni sensoriali quali l’odorato, la vista, il gusto, possono avere una fine. Fa parte del DNA umano ma anche animale e vegetale, anche se – negli ultimi due casi, vi sono molti esempi di come questo perenne iniziare e finire non possa essere collocato in maniera del tutto stabile e certo. Tornando all’Essere Umano: vi siete mai chiesti se, lo stesso concetto di vita legata a una ineluttabile morte, sia in qualche modo stato ingenerato a forza nel corso dei millenni, per ottenere una disgregazione mentale dell’umanità che – conscia di dover “finire” – si è resa fragile rispetto alla possibilità di poter, non dico vivere in eterno, ma eternamente vivere senza l’assoluta consapevolezza di avere come “traguardo” la morte? Se ognuno di noi vivesse senza porsi il “punto d’arrivo” – il finire come Essere – avrebbe una maggiore capacità anche di travalicare limiti umani che oggi pensiamo tutti di avere per cui, conseguentemente, limitiamo noi stessi convincendoci l’un l’altro di dover in ogni caso terminare il nostro percorso vitale? Ho utilizzato nel titolo volutamente, il termine “Obsolescenza programmata”. Un criterio – deciso da alcuni esseri umani molto tempo fa – che determina scientemente e scientificamente che, specialmente in ambito tecnologico anche se non solo, tutto ciò che viene costruito per essere venduto debba avere una sorta di data di scadenza programmata – appunto – dallo stesso costruttore. Avete presente i cellulari che, come per “magia” si rompono troppo presto rispetto a quanto un congegno del genere – realisticamente – dovrebbe e potrebbe durare? E si può applicare ad ogni cosa: veicoli progettati per durare molto meno, stampanti, fax, computers, lampadine… Già, le lampadine. Fu proprio la diffusione mondiale delle lampadine a generare il criterio di Obsolescenza programmata. Si era agli inizi del secolo scorso, fu deciso che la lampadina dovesse essere diffusa a livello mondiale. Fu addirittura creato un cartello per il controllo dei prezzi al consumo e, incredibile ma vero, poiché si era visto che le lampadine dell’epoca “rischiavano” di durare davvero quasi illimitatamente facendo rischiare un livello più basso nelle vendite, fu deciso che le lampadine fossero realizzate in maniera che durassero molto meno di quanto avrebbero potuto.
Leggete di seguito:
Programmare la fine di un prodotto è cosa antica. Non tutti lo sanno e non tutti pensano poi che questo criterio è ormai radicato in ogni cosa, ma falsamente. Pensiamo anche all’istituzione di determinate normative che impongono la scadenza dei prodotti alimentari. Le date di scadenza apposte, in moltissimi casi sono li, messe apposta, solo per farci comprare un prodotto nuovo, con scadenza più in la da venire, ma – nella realtà – quel prodotto la cui scadenza è giunta al termine, può essere tranquillamente consumato per molto tempo ancora. A cosa serve tutto ciò? Da un lato a premere su una produzione spinta alla schizofrenia, che giova soltanto al mondo industriale che in questo modo ha il controllo totale, la gestione globale dell’esistenza di ogni singolo individuo facente parte dei paesi cosiddetti industrializzati e dall’altro, ad alimentare in maniera mostruosa i numeri della produzione che peraltro falsano del tutto anche molti equilibri finanziari ed economici internazionali: si produce una overdose costante di prodotti, generando una tossicità mondiale che tiene “uniti” in una sorta di virus incurabile miliardi di esseri umani che – realmente – necessiterebbero di ben poche cose per vivere bene ma che in questo modo, non possono più fare a meno di fagogitare enormi quantità di inutilità. Un’enorme, globale, mondiale abbuffata di…Niente. E’ uno dei motivi della depressione umana costante che – perversamente – fa sentire a ogni essere umano un senso di assoluta inutilità non appena si giunge ad acquistare un qualsiasi articolo: all’acquisto appena compiuto infatti, raramente corrisponde un grande senso di soddisfazione: solitamente ci si sente carenti di qualcosa ed in cerca – già – di qualcosa di nuovo. Tornando ora al concetto di vita e fine della vita: provate a pensare se col tempo ovviamente, tutti assimilassimo un diverso criterio. Nasco e vivo. Punto. Non ho come “traguardo” il fatto – anche se ineluttabile – di dover morire. Poiché la mente è in grado di determinare cambiamenti - se solo glieli imponessimo per giungere a traguardi migliorativi dell’esistenza – sicuramente questo tipo di nuovo pensiero diverrebbe utile per un miglioramento fattivo dell’esistenza di ognuno. I credenti una fede religiosa, dicono sovente: “Non bisogna porre limiti alla Provvidenza” oppure “Le vie del signore sono infinite”. Non porre alcun limite, vie infinite… Appunto. E’ all’essere umano che vengono posti costantemente limiti a tutto, convincendolo che solo l’Essere Umano ha un inizio ed una fine. Si limita la mente al punto da convincere tutti gli esseri, della propria scarsità di possibilità umane. Eppure, io credo che se riuscissimo a scardinare questa convinzione divenuta Credo globale, assoluta ed incontrovertibile soluzione a tutto ciò che inizia, come al Vita, potremmo generare in noi stesse quelle capacità che pensiamo di non poter nemmeno lontanamente ottenere. Capacità che forse potrebbero mantenerci in vita più a lungo e maggiormente in salute oltre che nettamente meno depressi. Da dove cominciare? Dal fare a pezzi il criterio impostoci di “obsolescenza programmata” dettata sui consumi di prodotti di vario genere. Conserviamo, ripariamo semmai, teniamo ciò che ci viene strappato di mano con una scusa alquanto ambigua: “la moda, l’evoluzione, il progresso”. Non vedo moda che possa essere migliorativa della vita umana, nessuna evoluzione può essere basata sul dissesto dell’economia mondiale, nessun progresso può realizzarsi se tutto deve essere destinato a finire prima del tempo. Non potremo mai parlare di sviluppo umano e di conseguenza economico, finché non scardineremo noi a forza l’imposizione del dover perdere le nostre vite dietro criteri di mercato che stanno addirittura danneggiando il mercato mondiale che, stressato dalle sue stesse strategie, sta affogando alla penosa ricerca di un nuovo modo per uccidere l’umanità. Un mostro.
Ne vale la pena?
Per ciò che riguarda l'obsolescenza programmata applicata a qualsiasi prodotto tecnologico, in Francia è stata presentata una proposta di Legge per vietarne l'utilizzo: è un passo. Un primo passo che ci dice che possiamo farne molti altri..
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 24/11/2024 21:51:48 |
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