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“Sotto una buona stella” credo che sia uno dei film più belli tra gli ultimi lavori di Carlo Verdone. È questa la frase che mi viene in mente e che prendo da uno dei commenti che ho sentito dopo aver visto il film. La faccio mia, perché rispecchia quello che ho provato dopo la visione del film. Era da tempo che non si vedeva un Carlo Verdone così in forma, ma soprattutto con un film così divertente e riflessivo. Si, perché in sala si ride e si ride davvero tanto, ma si riflette anche sulla nostra vita moderna, sulle scelte che facciamo, sulle realtà che a volte osserviamo ma non facciamo realmente nostre. La storia è semplice, molto simile a quelle che sentiamo raccontare dalla gente, quelle che poi lo stesso Verdone ha sempre portato in scena, a volte fino all’eccesso, ma che continuano a dare una visione italiana che rispecchia il nostro modo di essere. Federico Picchioni è un uomo separato che convive con una donna più giovane, ha due figli grandi ai quali materialmente non ha mai fatto mancare nulla, invece è stato molto assente nell’affetto. D’un tratto muore la sua ex moglie e lui perde il lavoro, così si ritrova a condividere la casa con i figli e la nipote che la figlia ha avuto con un ragazzo nero. La convivenza è dura e dopo pochissimi giorni Gemma, la compagna scappa, come la domestica. A cambiare un po’ le sorti della famiglia Picchioni, ci pensa la nuova vicina, Luisa, che riesce a conquistare tutta la famiglia. Il film risalta la consapevolezza che continuiamo a sognare e desiderare sempre qualcosa di diverso, anche se a farlo sono maggiormente i giovani. Nei loro sogni trapela la voglia di contrapporsi alla realtà che i genitori mettono dinanzi ai loro occhi. Ma è anche una storia di solitudini sentimentali, molto presenti nella nostra società. Spesso si vive in famiglia, con i propri compagni, senza toccarsi o sfiorandosi appena con i sentimenti, presi ognuno nei nostri mille impegni lavorativi, ma anche dalla vita frenetica che ci porta a realizzare le nostre esigenze mettendo in secondo piano quelle degli altri. A volte viviamo queste situazioni senza accorgercene, perché è proprio la nostra frenetica vita a porcele in secondo piano, ma fuoriescono all’improvviso quando ci troviamo dinanzi alle emergenze: perdita del posto di lavoro, una malattia grave, una morte improvvisa, che ci fanno ripiombare nella realtà delle cose. Federico ha vissuto la sua vita senza occuparsi dei suoi figli, un classico genitore assente, come quelli che racconta la nostra società e si ritrova a dover costruire un rapporto con loro. Superba l’interpretazione di Paola Cortellesi che riesce a portare in scena due interpretazioni, uno per scherzo, la domestica rumena e uno che rappresenta il suo vero personaggio, la manager “tagliatrice di teste”. Dietro a quest’ultimo, nonostante rappresenti il lavoro spietato di una manager, si nasconde un animo ferito, che cerca di ricollocare chi viene lasciato a casa dai propri datori di lavoro. Sicuramente un personaggio irreale quello di Luisa, che alla fine riceve anche i ringraziamenti delle persone che ha licenziato, perché li ha ricollocati in altri lavori, totalmente diversi dal proprio. Carlo Verdone non ha bisogno di plausi, riconferma le sue doti di grande attore e regista che lo hanno reso ormai un’icona della commedia italiana. Federico ha un forte rimorso, quello di non essere stato presente nella vita dei figli e per questo, adesso che sono grandi, scopre di non aver costruito con loro alcun rapporto, mentre i due erano molto legati, invece, alla madre. Un plauso va dato sicuramente alla canzone del film. La canzone è di Michele Bravi e s’intitola proprio “Sotto una buona stella”. A scriverla per il giovane cantante uscito vincitore dalla settima edizione di XFactor, è stato Federico Zampaglione. Nel film a scriverla, sono i due ragazzi, uno la musica, l’altra le parole, ma è ricca di sentimenti, diventando, nel momento in cui viene cantata, la parte più dolce, struggente e riflessiva. Infatti quando all’audizione il giovane Picchioni la canta a due improbabili impresari, questi la bocciano perché non è una canzone allegra, ma triste e deprimente. Federico interviene in favore del figlio e, alterato, risponde dicendo che “quello che voi chiamate depressione si chiama anima”, come a sottolineare che tutti vogliamo vedere solo il lato positivo della vita, trascurando quei sentimenti che la rendono vera. Un film che nonostante la fotografia della famiglia moderna, un po’ troppo assente, resta una commedia tutta da ridere. Ogni risata, ogni sorriso, ogni gag, è anche un momento di sottile riflessione, con un risultato finale del tutto comprensibile. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 26/12/2024 18:03:48 |
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