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Galleria d 'Arte Moderna Roma Capitale - Gli approdi di  De Libero

Galleria d 'Arte Moderna Roma Capitale - Gli approdi di De Libero
Autore: Nostra inviata - Anna Gwerminario
Data: 27/02/2014

“Ci vediamo da Aragno” si diceva negli anni ’30 e già l’invito a ritrovarsi nel famoso caffè era promessa sicura di ore liete e feconde passate fra intellettuali d’avanguardia e non, dove tra il tintinnio delle tazzine di caffè come sfondo, le idee, le opinioni, le nascenti tendenze artistiche si mescolavano al fumo delle sigarette e come esso venivano respirate e impregnavano le menti e i cuori degli uomini di cultura dell’epoca.

Il vivido quadro di Amerigo Bartoli “Amici al Caffè” fa da leitmotiv a questo documentario su Libero De Libero  di Silvana Palumbieri, prodotto da Rai Teche in occasione della mostra “Libero de Libero e gli artisti della Cometa”, aperta al pubblico fino al27 febbraio 2014.

Grazie alla scoperta, circa 20 anni fa di una notevole documentazione privata costituita da diari e corrispondenza personale, Silvana Palumbieri ha ricostruito la vita di Libero De Libero, artista poco noto al grande pubblico, ma uomo dotato di straordinario spessore e fiuto artistico.

Giunto dalla natia e provinciale Fondi a Roma,dove frequentò la Facoltà di Giurisprudenza, entrò in contatto con scrittori, poeti, pittori, critici d’arte, nomi importanti quali Vincenzo Cardarelli, Massimo Bontempelli, Alberto Moravia, Giuseppe Ungaretti che interagivano traendo reciprocamente spunti per sempre nuove ispirazioni.

Uomo eclettico e complesso il De libero, la cui attività spaziò, dagli anni ’30 fino alle fine degli anni ’70, dalla composizione di apprezzate opere poetiche, romanzi, testi teatrali (molti mai pubblicati) fino al giornalismo (il quindicinale L’Interplanetario, da lui fondato insieme all’amico Luigi Diemoz) e alla critica artistica. Fu fra i tanti frequentatori della terza saletta del Caffè Aragno che conobbe la contessa  Anna Letizia  “Mimì” Pecci Blunt, mecenate dell’epoca, il cui salotto era ritrovo di una moltitudine di artisti allora poco conosciuti ma destinati a ruoli di primordine nel panorama culturale del dopoguerra. 

Mimì decise di affidar la conduzione della sua Galleria La Cometa a Corrado Cagli e Libero De Libero che curò numerose acquisizioni, documentate dall’archivio privato recentemente acquisito dalla Fondazione La Quadriennale.

Opere di Tosi, Manzù, Ziveri, Melli, Levi  trovarono, grazie alla curiosità intellettuale e all’’intuizione d’impronta cosmopolita di De Libero, la loro collocazione nella galleria dove tutti vissero una breve ma intensa vita artistica.

Ma il regime fascista guardava con interesse non certo benevolo l’attività della Cometa, i cui artisti venivano denigrati come fautori di “un’arte degenerata”, internazionalista, cosmopolita e decadente. All'indomani dell'esposizione grafica del Cagli, ebreo, il quotidiano Il Tevere del gerarca Telesio Interlandi e il suo settimanale artistico-letterario Quadrivio scatenarono una violenta campagna razzista contro La Cometa, mantenuta viva e ininterrotta dal 1936 al 1939. La mostra di dipinti di Carlo Levi, anch'egli ebreo, allora confinato in Basilicata, venne scambiata per una provocazione. Non meno "provocatoria" la celebre esposizione del 1937 con le Demolizioni; lo sguardo pittorico accorato che Mafai gettava sullo scempio del tessuto urbano della vecchia Roma consumato dal fascismo.

 Nonostante le enormi difficoltà le attività della galleria proseguirono, ospitando opere di Sinisgalli, Savinio ,Landolfi, Papi Brandi. Nel dicembre  del 1938l  si aprì una succursale a New York allo scopo di far conoscere l’arte italiana e si progettava anche un’apertura  a Parigi.

Ma gli eventi precipitarono: la polizia  pretese la lista degli artisti, dei visitatori e dei frequentatori abituali della galleria e la  dimostrazione della loro  iscrizione al partito fascista.

Con enorme rammarico fu lo stesso De Libero a sconsigliare un inutile eroismo e a decidere la chiusura della galleria . Come scrisse nel suo libro “Roma 1935”:  “ la Cometa non ebbe  nemmeno l'onore di essere proibita, chiuse la sua bella porta verde e chi ci perdette fu Roma, furono gli artisti italiani".

 

 




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