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Teatro Quirino 26 Dicembre 2013 · 08 Gennaio 2014 ARTÚ - Ente Teatro Cronaca presentano
Progetto Artistico Organizzazione Gianluca Ramazzotti Giuseppe Liguoro
ORARI SPETTACOLI
A VOLTE “LE PAROLE” POSSONO UCCIDERE…
NOTE DI REGIA Appena ho letto il testo di Galceran ho visualizzato l'azione in un luogo dove realtà e finzione potessero coniugarsi perfettamente: un cinema abbandonato, fatiscente, isolato dal mondo. Un luogo molto confortevole, un tempo, mosso dal fermento dei sogni e dell'immaginazione di chissà quanti cineasti e spettatori: oggi location decadente, dimenticata da tutti e dunque perfetta per lo svolgersi di un thriller, di un vero e proprio incubo. Un po' come l'amore che può spegnersi lentamente, inaridire, fino a rivelarsi una trappola mortale per chi, per immaturità o vocazione 'missionaria', si abbandona ingenuamente alle dinamiche malate del 'carnefice/vittima', dalle grinfie del quale è difficile sottrarsi, specie se si è concesso troppo. Nella penombra, in silhouette, una giovane donna è seduta al centro della platea di quell'ex sala cinematografica, tra poltrone divelte e polverose. Davanti a lei, gigantesco, campeggia il primissimo piano del volto di un uomo, proiettato sul vecchio schermo strappato, impolverato, pieno di muffa. L'uomo nel video parla davanti a sé, guardando in camera, ancora sudato e affannato per l'omicidio che dice di aver appena commesso: presto confesserà di essere un serial killer e di aver già ucciso diciotto persone, una al mese, tutte scelte a caso.La giovane donna, legata e imbavagliata, assiste sola e inerme all'inquietante proiezione finché non si riaccendono le luci e quello stesso uomo, serafico e sorridente, appare accanto a lei. L'uomo ha sequestrato la ragazza e la costringe ad un inquietante gioco di società, un gioco di parole e sillabe da 'incatenare' tra loro. Un gioco al massacro. In palio la vita di lei.
LUCIANO MELCHIONNA
L’autore JORDI GALCERAN
Nato a Barcellona nel 1964, è attualmente uno degli autori europei più rappresentati al mondo. E' drammaturgo, sceneggiatore per il cinema e la tv, oltre che autore di racconti e adattatore in catalano e castigliano di numerose opere straniere. Deve la sua fama internazionale all’opera Il metodo Grönholm. Ha studiato Filologia catalana all’Università di Barcellona e ha iniziato a scrivere per il teatro nel 1988. Nel 1995 ha vinto numerosi premi con Parole incatenate. Altre sue opere importanti sono Dakota e Carnaval.
Ho immaginato quel tipo di persona che fa della vita con il proprio partner un inferno, che disprezza i diritti e il dolore degli altri e ho scritto Parole incatenate.
Il gatto lo seguì per qualche metro, fino a che, con un nuovo salto, gli si piazzò nuovamente davanti. Si guardarono. Il gatto gli diede qualche spinta con gli artigli, come per invitarlo a fuggire ancora. Il topo, pateticamente, ci provò, intanto che il gatto lo osservava. Poi questi gli si avvicinò di nuovo e lo immobilizzò. Stavolta, però, conficcò i denti nel collo. Il topo si dimenò per qualche istante, fino a che rimase immobile. Il gatto gli diede un paio di colpi per accertarsi che fosse morto e poi se ne andò via. Andò via e basta. Non voleva mangiarlo. Stava giocando con lui, e quando il gioco s’era fatto noioso, lo uccise e se ne andò. Non so molto del comportamento animale, però mi sorprese che un gatto potesse avere un tipo di atteggiamento che consideravo specificamente umano: la perversità. Perché il suo gioco era perverso; non c’era necessità di ammazzare quel topo né di farlo soffrire in quella maniera. Proseguii il cammino verso casa, senza smettere di pensare a quello che avevo appena visto. Perché quella crudeltà? Che tipo di istinto l’aveva fatto agire in quel modo? Forse si stava esercitando, preparandosi per altre prede, come fanno i cuccioli quando si azzuffano fra loro. Sì, di sicuro era così. Il gatto portava un collarino di cuoio. Quindi era un gatto domestico. Un gatto che doveva esser scappato di casa o che era stato abbandonato o che, semplicemente, aveva fatto una fuga notturna e ora sarebbe tornato dai suoi padroni. Allora immaginai che quell’atteggiamento così perverso poteva averlo imparato solo dal contatto con gli umani. Noi umani sì che siamo crudeli. Cercai di immaginare con chi potesse vivere quel gatto, per aver fatto suo un comportamento tanto malvagio. Ho immaginato quel tipo di persona che fa della vita con il proprio partner un inferno, che gode nell’umiliare, che non prova empatia, che disprezza i diritti e il dolore degli altri. Ho immaginato un uomo e una donna osservati da quel gatto e, con quell’uomo e con quella donna, ho scritto Parole incatenate. JORDI GALCERAN
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 21/12/2024 03:58:22 |
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