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Dal 12 al 15 dicembre e dal 19 al 22 dello stesso mese al teatro Eutheca, vicino Cinecittà, va in scena “L’isola degli schiavi”, opera del drammaturgo francese Pierre de Marivaux del 1725 tradotta da Ferdinando De Martin per la regia di Federica Tatulli, con il doppio ruolo di attrice, nella parte del governatore dell’isola. A completare il cast Romano Talevi (Arlecchino), Giovanni Grasso (Iphicrate), Lorena Ranieri (Colombina) ed Ilaria Piemontese (Euphrosine). Due padroni, Iphicrate ed Euphrosine, ed i loro rispettivi servi, Arlecchino e Colombina, dopo un naufragio trovano rifugio su una terra che rivelerà presto essere la cosiddetta “Isola degli schiavi”, idealmente localizzata nella Grecia antica ma che di fatto supera il concetto di tempo: l’istituzione della schiavitù ancora vigente coesiste con prodotti della modernità, o più di un degrado post-moderno, come carrelli della spesa, bottiglie e barattoli abbandonati sulla riva. La società del luogo è sorta dall’emancipazione degli schiavi e la legge impone agli ospiti un sovvertimento dei ruoli che fino ad allora si erano avuti. Così Arlecchino e Colombina si ritrovano ad essere i benestanti con Iphicrate ed Euphrosine al loro totale servizio. Come primo atto dovranno mettere gli ex padroni davanti ai loro difetti, rinfacciandone lo stile di vita dissipato o la civetteria, oltre ai troppi maltrattamenti subiti. L’obiettivo del governatore è iniziare un percorso di cinque anni che li faccia diventare persone migliori, al termine del quale saranno liberi di tornare ad Atene. In questa situazione che comporta anche lo scambio di abiti, Colombina ed Arlecchino provano ad avventurarsi in un tipo di conversazione romantica da “gran signori”, ma l’effetto non è di quelli sperati: da umile popolano illetterato Arlecchino non trova il filo di un discorso che – anche se per finta – avrebbe dovuto aprire il cuore della “dama”. “Siamo più saggi ma anche più ridicoli di loro”, si lascia scappare Colombina. I due decidono allora di sfruttare il loro potere per scegliersi come amanti l’uno il servitore dell’altro. È proprio mentre potrebbe approfittare della debolezza e dell’incapacità di difendersi di Euphrosine che in Arlecchino scatta il meccanismo di empatia per i due che ora si trovano nella sua stessa vecchia condizione. Il percorso rieducativo ha sortito le conseguenze sperate, sostituendo la sete di vendetta tipica “degli stolti”, come definita dal governatore, con un’umana pietà che supera la prospettiva personalistica dietro cui gli individui troppo spesso si trincerano. Il rango sociale di nascita è il modo che hanno gli dei per “metterci alla prova”, è la lezione del governatore, sta poi al singolo vincere le paure, le diffidenze verso l’altro nel rispetto dell’intera umanità. Oltre le maschere ed i condizionamenti c’è l’università dell’essere che deve abbandonare i conflitti, adottando uno sguardo allargato che meglio può valorizzare le differenze culturali che ci arricchiscono. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 26/12/2024 04:32:35 |
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