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(Video: viaggio in Kurdistan) Lo scorso 15 aprile a Marivan, nel Kurdistan iraniano al confine con l'Iraq, una singolare sentenza ha costretto un uomo, riconosciuto colpevole di disturbo alla quiete pubblica, rissa e detenzione di armi, a girare per le strade della città scortato dalla polizia e con indosso gli abiti tradizionali delle donne curde. Ma l'effetto è stato opposto a quello beffardo ipotizzato dalle istituzioni locali, non solo le associazioni femministe hanno denunciato l'accaduto, chiedendosi perché mai questa debba essere considerata una punizione umiliante, ma circa 4000 curdi hanno dato il via sui social network ad una irriverente campagna contro il sessismo, postando foto di se stessi in abbigliamento femminile.
L'effetto valanga della campagna su facebook L'ideatore – forse involontario – della campagna contro la sentenza è Masoud Fathi, poeta, attivista politico e, come si definisce lui stesso, femminista. Dopo aver pubblicato su facebook la foto di un amico vestitosi da donna, ha commentato scrivendo quello che sarebbe divenuto lo slogan, "essere una donna non è uno strumento per umiliare o punire nessuno". Da lì l'effetto domino, sempre più gente si è unita e da un'idea individuale sono state create pagine che, come quella tedesca "Kurd men for equality", contano 9000 iscritti. Il coinvolgimento è stato intergenerazionale, dai ragazzi a uomini più anziani e dall'aspetto serio, anche se qualcuno, per scongiurare ripercussioni, ha preferito non essere identificabile coprendosi il volto. Manifestazioni di solidarietà sono arrivate da ogni parte del mondo.
"Indossando quei vestiti ho capito quanta cattiveria può generare il pensare sciovinista degli uomini", racconta Fathi, "la cultura maschilista ha distrutto il pianeta". "Il regime iraniano è fascista, ed è inevitabile che questo condizioni la società", rincara la dose Sasan Amjadi, altro collaboratore al progetto. "Il 40% della popolazione non crede nelle donne. Non possono insultare le nostre madri e sorelle. Abbiamo la responsabilità di far finire l'ideologia della dominazione maschile". Quello dei gruppi facebook è solo un primo passo, "i prossimi dovranno essere più pratici, fuori dalla sfera dei media", ritiene Dler Kamangar, musicista ed amico di Fathi. "Non mi aspetto riforme dal governo iraniano, bisogna lavorare contro le sovrastrutture negative. Alla fine siamo soli e ne verremo fuori con le nostre soluzioni".
Prospettive femminili "Quest'azione è forte e significativa perché partita da uomini", dichiara Çiðdem Orban, studentessa di filosofia originaria di Karakocan, nel nord del Kurdistan, ora attiva per la comunità residente in Germania. "I diritti delle donne sono un fenomeno che coinvolge tutta la società e queste persone hanno dimostrato coraggio, prendendo posizione non solo dal punto di vista intellettuale, ma facendo qualcosa". Non della stessa opinione un gruppo di femministe persiane, che hanno visto solo un tentativo di proteggere l'identità curda e non di difesa delle donne.
Non solo una questione di genere, in molti in effetti hanno ritenuto la sentenza più un tentativo di ridicolizzare la cultura di un popolo come quello curdo che in Iran, negli ultimi anni, ha avuto almeno 56 propri esponenti condannati a morte - senza dimenticare le esecuzioni non rese pubbliche – nel tentativo di annichilire qualsiasi dissidenza soprattutto fra le minoranze etniche. È opinione diffusa in Kurdistan considerare prioritaria la causa indipendentista rispetto all'emancipazione femminile, pensando alle due battaglie non come strettamente connesse. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 21/12/2024 05:06:42 |
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