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Primavere arabe: dopo due anni è reale cambiamento?

Primavere arabe: dopo due anni è reale cambiamento?
Autore: Gabriele Santoro - Redazione Esteri
Data: 14/04/2013

 

 

Sono passati appena più di due anni dalle grandi manifestazioni di protesta che hanno percorso il mondo arabo, dal nord Africa al Medio Oriente, mobilitando milioni di persone che chiedevano non tanto migliori condizioni economiche, quanto una maggiore democrazia, più trasparenza e partecipazione alla vita politica. Simbolicamente si può far risalire tutto al 17 dicembre 2010, quando in Tunisia il venditore ambulante Mohamed Bouazizi si tolse la vita dandosi fuoco, come gesto estremo di protesta e disperazione. La rapidità degli eventi portò, nemmeno un mese dopo, il 14 gennaio, alla fuga del dittatore Ben Ali ma la forza del momento storico non era ancora stata compresa appieno, visto che il contagio si sarebbe esteso ad Egitto, Libia, Algeria, Marocco, Bahrein, Yemen, Arabia Saudita e Siria, con diversi esiti.

 

Una cosa in comune è stata la miopia con cui i media occidentali, ma anche di questi stessi paesi, non hanno saputo prevedere le trasformazioni che sarebbero di lì seguite. "Un importante giornalista di Al Jazeera, all'indomani del cambio al vertice in Tunisia si sentì di affermare che in Egitto non sarebbe potuto succedere", svela questo aneddoto Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera, intervenuto nel corso del dibattito "Primavera araba, dopo due anni quali prospettive?" tenutasi l'11 aprile nel salone delle Conferenze del Sioi – Società italiana per l'organizzazione internazionale.

 

Ma il grande entusiasmo globale di 24 mesi fa sembra essere scemato, l'elite di giovani e donne che portò avanti la spinta per una nuova società civile, è stata rimpiazzata dall'organizzazione capillare dei Fratelli Musulmani, nati con vocazione internazionale nel 1928 e ora in grado di vincere le elezioni in Egitto e Tunisia. Il pregiudizio nei loro confronti è alto, il solo nome spaventa il mondo non islamico, che teme derive estremiste. E di certo l'uccisione del leader dell'opposizione laica tunisina Belaid lo scorso febbraio, o le violenze contro i cristiani copti in Egitto sembrerebbero avvalorare questa tesi. Ma va considerata una realtà molto composita all'interno del movimento, paragonabile per certi versi alla Democrazia Cristiana del secondo dopoguerra, e con le stesse responsabilità di ricostruzione dopo cambiamenti traumatici.

 

Altro elemento, il ruolo di internet, enfatizzato agli inizi, "ora non più così efficiente", a giudizio di Cremonesi. "La realtà è più complessa del virtuale ed è stata gestita male dai militanti, che non avevano capito l'importanza dei Fratelli Musulmani". È stato visto un tentativo di questi ultimi di "scippare" la rivoluzione ai laici. Invece c'erano sempre stati, forse meno visibili, ma il parallelo con Pci e Dc della resistenza proposto da Antonio Cantaro - docente dell'Università di Urbino - regge, entrambi hanno avuto un ruolo importante nella lotta antifascista o contro i vecchi regimi dittatoriali, tornando al nord Africa.

 

"Mentre i giovani chiedevano il cambiamento, l'entroterra, le masse agrarie e con redditi più bassi, sono rimaste legate alla tradizione", aggiunge Stefano Rizzo, autore del libro "Le rivoluzioni della dignità" e professore di relazioni internazionali alla Sapienza. Il risultato è stato evidente una volta alle urne, semplificando al massimo si può parlare di una prevalenza della campagna sulla città, "ottimisticamente considerabile un percorso, una tappa intermedia, altrimenti forse ha ragione chi parla di 'rivoluzione scippata'. Ad ora, alle maggiori libertà politiche non sono seguite mutazioni sociali, è un altro campo, ci vuole tempo e un evoluzione dei costumi. Le premesse ci sono, anche grazie alla globalizzazione".

 

Ma anche la strategia dei governi contro cui erano dirette le proteste non è rimasta la stessa, l'idea iniziale di lasciare sfogare la popolazione, credendo di sfibrarla, non ha sortito gli effetti sperati. Il primo a capirlo è stato Gheddafi in Libia, piegato poi dalla coalizione occidentale. Stesso messaggio di repressione in Yemen, dove alla fine il presidente Saleh si è dimesso ma è stato sostituito dal vice. I pochi focolai sauditi sono stati tenuti sotto controllo e la stessa Arabia è dovuta intervenire in Bahrein per sedare le rivolte contro il re Al Khalifa. Fino al punto massimo dell'escalation di violenza in Siria, caso mai visto di un regime arrivato a bombardare sistematicamente interi quartieri, con circa 70 mila morti tra i civili. "Il rischio è leggere la transizione alla luce del conflitto siriano", riprende Cantaro. "È emblematico, ma non è 'la verità' delle primavere arabe, solo uno degli aspetti".

 

L'impatto è stato evidente anche dal punto di vista dei flussi migratori, in Italia sono sbarcati 62 mila stranieri nel 2011, provenienti da Libia e Tunisia, dando il via dall'aprile dello stesso anno all' "emergenza nord Africa", con l'apertura di centri di accoglienza attraverso un sistema nazionale gestito dalla protezione civile, causa di dibattito tra le forze politiche e di dissidi tra l'Italia stessa e l'Unione Europea, contraria agli spostamenti dei rifugiati all'interno dell'area di Schengen. Per la Convenzione di Dublino del 1990 lo Stato membro competente all'esame della domanda di asilo sarà quello in cui il richiedente ha messo piede per la prima volta nell'Unione Europea.

 

La situazione è ora normalizzata, dall'inizio 2013 gli sbarchi si sono ridotti ad una quindicina, con 82 arrivi dalla Tunisia e 603 dalla Libia. Per quanto riguarda la Siria, i rifugiati hanno raggiunto il milione e trecentomila, quasi tutti ospitati nei paesi confinanti. L'Ue ha ricevuto solamente 200 mila domande, concentrate tra Germania, Svezia, Regno Unito e Svizzera. L'Italia, tra 2011 e 2012, ha accolto circa 500 richiedenti asilo




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Data:10/08/2013
Categoria:Politica e Governo
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