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Haiti: i morti. Gli sfollati. I soccorsi. Le gaffes

Haiti: i morti. Gli sfollati. I soccorsi. Le gaffes
Autore: Emilia Urso Anfuso
Data: 15/01/2010

 

 

100.000. 200.000. 500.000. I numeri di una strage umana che come sempre i Media riportano in maniera confusa. Sono i numeri di Haiti, delle vittime del terribile terremoto che sta mobilitando il mondo intero. Fra morti e feriti. Ma nulla di certo, almeno sulle vittime. Incontabili. Ciò che appare quasi certo, dopo le prime verifiche aeree, è che il 50% degli abitanti nell'area colpita dal sisma, sono rimasti senza alloggio. Ed il 50% è pari a 300.000 persone, così come riportano le Nazioni Unite.

 

La terra continua a tremare, ma non c'è tempo per accorgersene. Ai danni ed al numero incredibile di vittime, si aggiungono danni immediati. Come la possibilità di epidemie, in considerazione delle fogne a cielo aperto, che rischiano di miscelarsi con l'acqua potabile, rendendo possibile una qualche epidemia. O della convivenza fra superstiti e cadaveri, ammassati a migliaia ai margini delle strade: si temono febbre tifoidea e colera. Ed il clima haitiano – caldo ed umido - di certo non aiuta.

 

I primi soccorsi sono arrivati da varie organizzazioni umanitarie, fra cui Medici Senza Frontiere, che proprio ad Haiti ha una missione stabile da diversi anni. La loro base è stata immediatamente resa disponibile per accogliere i feriti, visto il crollo rovinoso di tre dei quattro ospedali della capitale Port-Au-Prince ed il sovraffollamento dell'unico rimasto in piedi.

 

L'aeroporto di Port-Au-Prince, subito reso agibile dai Marines statunitensi, non riesce ad accogliere i tanti voli in arrivo da tutto il Pianeta. Le piste di atterraggio sono affollate. Si rischia il caos.

 

Alla tragedia umana e naturale, ora si guarda anche allo sciacallaggio: i primi casi già ieri, al secondo giorno dopo il sisma. Come capita sempre. C'è chi trova il tempo di approfittare dei morti e del dolore umano.

 

Le agenzie giornalistiche lavorano alacremente, i Governi internazionali creano piani strategici per gli interventi.

 

In tutto questo, c'è spazio persino per qualche gaffe memorabile. Qualcuno ha mal visto ad esempio, l'articolo apparso ieri 14 Gennaio 2010 sulla prima pagina de "Il Giornale". L'autore, Nicola Porro, ha titolato: ""Haiti, catastrofe dell'anticapitalismo". E nell'articolo scrive: «noi quella miseria ce la siamo lasciata alle spalle e molti secoli fa. Tuttavia noi occidentali abbiamo la presunzione di avere saputo domare la natura per sempre. Il dramma che si sta consumando in queste ore ci ricorda dell'impotenza dell'uomo. Ma nello stesso tempo della sua forza. E' questa la feroce contraddizione a cui ci riporta il dramma di Haiti»

 

 

La miseria conta i morti. Anche oggi. Come ieri.

 

Certamente, avremmo preferito non leggere la dichiarazione del console Haitiano in Brasile, Gerge Samuel Antoine, che non essendosi accorto che le telecamere erano accese ha dichiarato alla televisione brasiliana SBT: "La disgrazia di Haiti ci fa pubblicità. Per noi è una buona cosa". Una bella defaillance in diretta. Ma non si ferma a questo ed aggiunge: "i negri hanno il pallino della Macumba. Ecco perché ovunque vadano, sono sfottuti".

 

Peccato che poco prima, aveva dichiarato in diretta, che lui stesso per calmare la tristezza e l'ansia per la tragedia avvenuta, aveva utilizzato un amuleto Vodoo. Il console haitiano in Brasile è di pelle bianca. Il razzismo non conosce ostacoli. Nemmeno quando il sangue che scorre nelle vene ha lo stesso identico colore.

 

Intanto, sui network internazionali come Facebook, la gara di solidarietà fa il passa parola. Molti i gruppi a sostegno dei terremotati. Molte le persone che alimentano un rigurgito di solidarietà. Anche attraverso la preghiera.

 

Collateralmente, la creazione di gruppi – incredibile ma vero – che inneggiano alla violenza ed "auspicano che i morti siano molti di più". Uno per tutti: "Haiti? Crepate, luridi terremotati". Per questi gruppi odiosi, la segnalazione di massa da parte degli utenti del network, tarda a dare i risultati sperati. Anche questo è il mondo in cui viviamo.
 

Ora i riflettori sono tutti puntati su questa nazione nel Mar dei Carabi che pochi conoscono davvero. Una delle aree più povere del Mondo e con una storia di sottomissione prima agli Stati Uniti e poi alla Francia, per giungere – nel 1804 – all'indipendenza.

 

Un Paese abituato a soffrire. Una nazione a brindelli ancor prima di subire catastrofi. Fra povertà, disperazione e disordini civili. Il male e la disperazione, non conoscono tregua. In qualsiasi parte del Mondo.

 

L'augurio che l'attenzione internazionale non si disperda troppo in fretta, è d'obbligo.

 

 

 




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