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L'involuzione dello Stato Democratico: Brunetta, lo sciopero e altre considerazioni.

L'involuzione dello Stato Democratico: Brunetta, lo sciopero e altre considerazioni.
Autore: Emilia Urso Anfuso
Data: 26/02/2009

 

L’ultimo Decreto Legge firmato Brunetta, rischia di togliere il sonno a milioni di lavoratori Italiani. E rischia di gettare alle ortiche, anni ed anni passati ad operare allo scopo di recriminare sacrosanti diritti che cautelassero e dessero voce a tutti i lavoratori italiani.

 

Considerando che – ancora oggi – il primo articolo della costituzione Italiana, trova fondamento nella formula per cui l’Italia “E’ una Nazione democratica, fondata sul lavoro”, viene da chiedersi se, con le nuove regole relative al diritto di sciopero, non si stia in realtà aggirando l’ostacolo della tormentata vicenda di una rivisitazione della nostra Costituzione…

 

Un po’ di storia, non può che portare tutti a ripensare e riflettere su un qualcosa che coinvolge in realtà tutti: lavoratori, pensionati (quindi ex lavoratori) futuri lavoratori: in pratica, la nazione intera.

 

In Italia, prima della seconda metà dell’800, i lavoratori di qualsivoglia settore, non trovavano alcuna forma di tutela per i propri diritti, ne potevano contare su normative che regolamentassero ad esempio, l’orario di lavoro o le aspettative per malattia.

 

Un lavoratore, era così una sorta di “proprietà” per quello che infatti all’epoca veniva chiamato, senza alcun senso di onerosa sottomissione “il Padrone”.

 

E’ con la costituzione delle prime Società Operaie di Mutuo soccorso, che inizia un pallido esempio di associazionismo fra lavoratori, allo scopo di poter in qualche modo sopperire alla mancanza, già all’epoca, dello Stato Sociale.

 

Si ricorda, che per Stato Sociale, si è sempre inteso l’intervento dello Stato con lo scopo di eliminare qualsivoglia disuguaglianza sociale, supportando a questo scopo maggiormente, i ceti definiti “deboli”.

 

E si rifletta sul fatto, che già oltre cento cinquant’anni fa, questa peculiarità risentiva già di enormi mancanze di compimento…

 

La costituzione delle prime Società Operaie di Mutuo Soccorso, organizzate in proprio dagli stessi lavoratori, trovò accoglienza in forma statale attraverso la Legge N° 3118 del 15 Aprile 1886.

 

Un progresso enorme, se si pensa alla difficile condizione lavorativa e sociale di quel periodo storico. Gli operai all’epoca, erano costretti a lavorare quotidianamente anche per oltre dodici ore. Non esisteva un limite minimo di età per iniziare a lavorare (molti i bambini impiegati in lavori pesanti e poco attinenti alla loro fase di crescita). E non si presupponeva alcun diritto di dialogo o di protesta nei confronti del datore di lavoro. Si lavorava – duramente – e basta. Nessuna possibilità di poter recriminare un diritto, sia che esso fosse legato all’orario di lavoro, sia che concernesse il salario o il diritto alla malattia.

 

Le ferie non erano ancora entrate a far parte di alcun dizionario. E le giornate di riposo si contavano in un anno sulle dita delle mani.

 

Attraverso le Società Operaie di Mutuo Soccorso, il lavoratore poteva anche richiedere supporto ai ceti medio/alti, oltre a poter contare su una rete di altri lavoratori, pronti a dare solidarietà ai propri adepti.

 

E’ con la nascita del Fascismo, che le Società di Mutuo Soccorso furono disgregate ed in alcuni casi, assorbite da organizzazioni di Partito. Ciò che per circa cinquant’anni cautelò in qualche modo gli operai, ora veniva distrutto o nel migliore dei casi, integrato in un'altra forma di associazionismo.

 

Solo alla fine degli anni ’50, ripresero a fiorire nuove Società di Mutuo Soccorso. L’Italia con la ripresa dell’Economia stracciata da una Guerra troppo lunga ed onerosa, aveva all’epoca una delineazione diversa rispetto a quella che nell’800 aveva generato la necessità di creare associazionismo fra i lavoratori.

 

Da Società contadina ed operaia, la nazione si evolveva anche verso la Libera Professione, tracciando nuove difficoltà e diversi parametri di evoluzione lavorativa e sociale.

 

Il grande passo che contraddistingue il cambiamento, è tracciato nella storia con l’organizzazione del primo Sciopero generale in Italia (1904) generato dopo la morte di quattro minatori in Sardegna che, durante una sommossa operata per ottenere una maggiorazione dei salari e migliori condizioni di lavoro, condusse tutti i lavoratori letteralmente a paralizzare qualsiasi forma di lavoro e produzione per ben quattro giorni.

 

Da allora, attraverso questa forma di protesta i lavoratori poterono e possono esercitare il loro diritto di replica nei confronti dello Stato, del datore di lavoro e delle Istituzioni, sia per quanto riguarda contraddittori in termini salariali sia per quanto riguarda eventi la cui gravità può portare la collettività dei lavoratori ad unirsi in protesta..

 

Un elemento di democrazia fondamentale. Una grande luce che conserva al suo interno, epoche di diritti negati. Di privazioni. Di assoluta assoggettazione al datore di lavoro. Nei primi tempi, lo sciopero era considerato un’inadempienza contrattuale, passibile quindi di licenziamento immediato.

 

Ma il corporativismo che via via venne a crearsi, riuscì pian piano a dettare le prime regole affinché, i diritti di tutti i lavoratori dipendenti, potessero essere sostenuti attraverso la strada dell’astensione volontaria dal lavoro. Unico metodo di dialogo diretto. Fermo ed efficace.

 

Sempre all’inizio del secolo scorso, la fondazione del Sindacato CGL, per mano dell’allora Partito Socialista, generò un ulteriore suddivisione con la creazione nel 1912 dell’Unione Sindacale Italiana, da parte di quei lavoratori che ravvisarono nella CGL una politicizzazione troppo radicata e non rappresentativa delle fondamenta sindacali in atto.

 

In effetti, la CGL accorpava in se, il pensiero contemporaneamente dei Partiti Comunista, Socialista e Democristiano. Una commistione di interessi che apparve non in linea con

le regole e necessità dei lavoratori.

 

Fu dopo il 1948, con gli scioperi politici generati contro il Patto Atlantico ed il Piano Marshall, che i Democratici Cristiani si distaccarono dalla CGL fondando la Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL). E poco tempo dopo, Liberali e socialdemocratici, diedero vita alla Unione Italiana del Lavoro (UIL).

 

Il grande fermento di quegli anni, porta passo passo ai nostri giorni.

 

Porta ad una politicizzazione assoluta dei sindacati, che perdono così nel tempo, il loro iniziale intento di associazionismo privato e fondamentalmente atto al miglioramento delle condizioni sociali e lavorative.

 

Di scioperi e proteste, ne sono passate migliaia sotto gli occhi di tutti. Vissuti come atto di ribellione nei confronti di una società ed una politica poco tesa alla reale amministrazione e regolamentazione del bene comune.

 

Si è arrivati ai nostri giorni, passando per sommosse epocali. Per scioperi inutili. Per richieste accolte o a volte prorogate.

 

Si è arrivati anche, al troppo utilizzo di una forma di protesta, che spesso ha avuto il solo esito di ridurre la nazione a momenti di reale criticità, in special modo in tutti i contesti in cui lo sciopero, determina l’irregolarità di servizi pubblici che cadono sulla quotidianità di tutti i cittadini.

 

Si è giunto però, al nostro quotidiano, ove si sta tracciando un nuovo epocale momento nella storia della Democrazia. Ove si rischia di retrocedere di cent’anni se non si riuscirà a trovare una giusta via di mezzo fra la Politica, l’organizzazione Sindacale ed il Governo.

 

Con il suo DL relativo alle nuove regole sugli scioperi, il Ministro Brunetta scompone non di poco diritti assunti, seppur presunti, nel mare dell’associazionismo sindacale.

 

Con il suo imporre che solo “Le organizzazioni sindacali di rilievo” possano eventualmente agire per protesta, attraverso il diritto di sciopero, si sta dicendo apertamente che, un gruppo di lavoratori afferenti ai sindacati minori, non potranno più esercitare questo diritto.

 

Regolarizzando ed accettando la forma “virtuale” di sciopero, attraverso il quale il lavoratore è chiamato a presentarsi al lavoro, pur non percependo la giornata lavorativa, si da un colpo di mannaia alla storia stessa dei lavoratori e di tutti i cittadini.

 

Le dichiarazioni che in questi giorni vengono fornite dallo stesso Ministro Brunetta e da dal Presidente dell’Assemblea di Montecitorio Gianfranco Fini, non appaiono in accordo con una continuità nel rispetto dei diritti di tutti.

 

Si citano i diritti ai pubblici servizi di tutti i cittadini. Ma cittadini sono gli stessi lavoratori cui si toglie d’altro canto un sacrosanto diritto. Sul filo sottile dell’interpretazione più o meno libera di un concetto, potremmo domani trovarci nell’impossibilità di avere a nostro conforto, quest’ultimo pallido barlume di democratica possibilità di dialogo e protesta.

 

Fino a che punto siamo cittadini? Fino a quale, siamo e saremo lavoratori? Fino a dove perderemo un diritto e d’un lato automaticamente, ne trarremo uno nuovo?

 

Solo la storia del prossimo futuro, determinerà se e come saremo ancora attori della nostra quotidianità. E quali saranno le “armi” attraverso il quale, da cittadino o lavoratore, potremo far sentire ancora la nostra voce.

 

..che non rimanga strozzata nella gola, soppressa dall’ultimo stralcio di libertà di opinione ed azione, fagocitata da un Sistema cui non apparteniamo più da tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 




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Data:10/08/2013
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GERENZA: Gli Scomunicati - L'informazione per chi non ha paura e chi ne ha troppa - PluriSet timanale nazionale - Reg. Tribunale di Roma N° 3 del 21 Gennaio 2014
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