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Le piume debbono essere leggere più del solito quando costituiscono il seme imperituro e sempre fecondo di un evento che stravolge il quotidiano. Ed è questo il caso della giusta intenzione di mantenere viva una memoria di un crollo devastante che ha “scheggiato” tutti in maniera brutale. Crollo brutale che persiste nelle diecine e centinaia di persone in cui ha prodotto un corto circuito e susseguente black out degli affetti, delle proiezioni, della vita la notte del 6 aprile 2009 : il terremoto dell’Aquila Lieve, intelligente ed accurata trasposizione in scena delle parole scritte da Dacia Maraini che prende a pretesto Giulia Carnevale - una delle troppe vittime coinvolte - con Sara Pallini che indossa gli abiti di Giulia, di sua madre, di una sua insegnante. Lo spazio scenico argutamente non possiede né la prima né la quarta parete. Avvolge e coinvolge il transumare di Sara Pallini rigorosamente in direzione anti oraria alla ricerca di dettagli, tracce di quello che è noto ad attenuare lo spiazzamento dell’ignoto. Abiti obbligatoriamente bianchi in una scena bianca. Richiamo di una neutralità voluta affinché ognuno degli spettatori possa portare con sé il colore delle vibrazioni che volenti o nolenti permeano e accendono memorie delle diverse Giulie personali di ognuno. Il richiamo finale di Giulia «Mamma, tu non sai com’è facile morire…” dopo di cui si spengono le luci giustifica l’imbarazzato sorriso al ritorno delle luci piene in sala, al ritorno alla normalità quando lo spettacolo è finito. Finito lo spettacolo sì, ma non terminato perché è penetrato. E rimane incistato sotto pelle. Sarà nostra compito decidere come dargli attenzione e cura per non essere troppo folgorati al prossimo corto circuito che incontreremo. Mai sufficientemente pronti alla prossima Giulia. E ha un sapore liberatorio, quasi scaramantico, l’applauso legittimo e prolungato dedicato agli intenti condivisi e giunti di Iolanda Salvato alla regia, Federica Clementi che ha creato il tappeto sonoro e Sara Pallini brillante e intenso veicolo di emozioni. Unico benevolo rimprovero trasversale è la latenza di una componente maschile, come se ci si dovesse giustificare/arroccare una pertinenza di genere. Cosa che ovviamente non corrisponde alla realtà. Nota a margine sullo spazio del Teatro dei Documenti, poco nota dimensione spaziale – purtroppo- che vibra e ammalia anche nell’apparente silenzio e nella pienezza delle stanze vuote. Invito marcato a respirare questa cornice con vigore. http://www.teatrodidocumenti.it/ |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 21/12/2024 04:34:27 |
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