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Come muoiono le democrazie -  ('How Democracies Die', di Steve Levitsky e Daniel Ziblatt)

Come muoiono le democrazie - ('How Democracies Die', di Steve Levitsky e Daniel Ziblatt)
Autore: Redazione Cultura
Data: 04/10/2018

 



Brano tratto dall'Introduzione del libro How Democracies Die, di Steve Levitsky e Daniel Ziblatt, ed. Crown, New York, 2018

A mezzogiorno dell’11 settembre 1973, dopo mesi di tensioni crescenti nelle strade di Santiago, Cile, gli aerei da caccia Hawker Hunter di costruzione britannica sorvolarono l’area e sganciarono le loro bombe su La Moneda, il neoclassico palazzo presidenziale nel centro della città. Il Presidente Salvador Allende, eletto tre anni prima a capo di una coalizione di sinistra, era barricato dentro. Durante il suo mandato, il Cile era stato tormentato da rivolte sociali, crisi economiche e paralisi politica. Allende aveva detto che non avrebbe lasciato il suo posto fino a quando non avesse finito il suo lavoro – ma ora era giunto il momento della verità. Sotto il comando del generale Augusto Pinochet, le forze armate del Cile stavano prendendo il controllo del Paese. La mattina presto di quel giorno fatidico, Allende aveva offerto parole di sfida durante un discorso trasmesso via radio, sperando che molti dei suoi sostenitori scendessero in strada a difendere la democrazia. Ma la resistenza non si materializzò. La polizia militare che faceva la guardia al palazzo lo aveva abbandonato; il suo discorso alla radio fu accolto nel silenzio. Dopo poche ora, il presidente Allende era morto. E con lui, la democrazia cilena.

E’ questo il modo con cui siamo soliti pensare alle democrazie morenti: per mano di uomini armati. Durante la Guerra Fredda, quasi tre democrazie su quattro furono soverchiate attraverso colpi di stato armati. Le democrazie in Argentina, Brasile, Repubblica Dominicana, Ghana, Grecia, Guatemala, Nigeria, Pakistan, Perù, Thailandia, Turchia e Uruguay sono tutte morte in questo modo. Più recentemente, un colpo di stato militare ha cacciato il presidente egiziano Mohamed Morsi nel 2013 e il primo ministro thailandese Yingluck Shinawatra nel 2014. In tutti questi casi, la democrazia si è dissolta in modo spettacolare, attraverso il potere militare e la violenza.

Ma c’è un altro modo per distruggere una democrazia. E’ meno drammatico ma altrettanto distruttivo. E’ possibile che le democrazie muoiano non per mano dei generali, ma dei leader eletti – presidenti o primi ministri che sovvertono quello stesso processo democratico che li ha portati al potere. Alcuni di questi leader smantellano la democrazia rapidamente, come Hitler poco dopo l’incendio del Reigstag in Germania nel 1933. Ma più frequentemente le democrazie si erodo lentamente, un passo appena percettibile dopo l’altro.

In Venezuela, per esempio, Hugo Chàvez era un outsider della politica che inveiva contro ciò che descriveva come una élite corrotta di governanti, promettendo la costruzione di una democrazia più “autentica” attraverso l’utilizzo dei vasti giacimenti di petrolio per migliorare la vita ai poveri. Facendo abilmente leva sulla rabbia dei venezuelani ordinari, molti dei quali si sentivano ignorati o maltrattati dai partiti politici tradizionali, Chàvez fu eletto presidente nel 1998. Come disse una elettrice durante la notte delle elezioni nello stato dove originava Chàvez, il Barinas: “La democrazia è infettata. E Chàvez è l’unico antibiotico che abbiamo”.

Quando Chàvez lanciò la rivoluzione che aveva promesso, lo fece in modo democratico. Nel 1999, si svolsero libere elezioni per una nuova assemblea costituente, in cui i suoi alleati vinsero con una maggioranza schiacciante. Questo permise agli chavistas di riscrivere unilateralmente la nuova costituzione. Era comunque una costituzione democratica e per rafforzare la sua legittimità, si tennero nuove elezioni presidenziali e parlamentari nel 2000. Chàvez e i suoi alleati vinsero anche quelle. Il populismo di Chàvez stimolò una dura opposizione e, nell’aprile 2002, fu deposto brevemente per mano militare. Ma il colpo di stato fallì, permettendo ad uno Chàvez trionfante di presentarsi ancora più legittimato democraticamente.

Fu solo nel 2003 che Chàvez fece il primo chiaro passo verso l’autoritarismo. Con il sostegno dell’opinione pubblica che stava svanendo, sospese un referendum dell’opposizione che lo avrebbe fatto cadere – fino all’anno successivo quando, con il prezzo del petrolio alle stelle, avrebbe recuperato sostegno sufficiente per vincerlo. Nel 2004, il Governo compilò una lista nera di coloro che avevano firmato a favore del referendum e riempì la corte suprema di suoi uomini, ma la schiacciante rielezione nel 2006 gli consentì di mantenere un’apparenza democratica. Il regime chavista divenne più repressivo nel 2006 quando chiuse una delle principali tv, arrestò o esiliò politici dell’opposizione, giudici e personaggi mediatici sulla base di accuse discutibili, ed eliminò ogni limite temporale alla carica presidenziale affinché Chàvez potesse rimanere in carica per sempre. Quando Chàvez, morente di cancro, fu rieletto nel 2012, il contesto era libero ma ingiusto: lo Chavismo controllava gran parte dei media e utilizzò la vasta macchina governativa a suo favore. Dopo la morte di Chàvez un anno dopo, il suo successore, Nicolàs Maduro, vinse un’altra elezione discutibile e nel 2014 il suo governo imprigionò uno dei principali leader d’opposizione. Di nuovo, la schiacciante vittoria dell’opposizione alle elezioni legislative del 2015 sembrava contraddire quei critici che descrivano il Venezuela come uno stato ormai non più democratico. Solo quando un’assemblea costituente mono-partito ha usurpato i poteri del Congresso nel 2017, quasi due decenni dopo la prima vittoria presidenziale di Chàvez, il Venezuela è stato riconosciuto largamente come un’autocrazia.

Questo è il modo in cui muoiono oggi le democrazie. La dittatura sfacciata – come il fascismo, il comunismo o il governo militare – è quasi scomparsa da gran parte del mondo. I colpi di stato militari e altre forme violente di presa del potere sono rari. La maggioranza dei paesi svolge regolari elezioni. Le democrazie continuano a morire, ma in modo diverso. Dalla fine della Guerra Fredda, il collasso della democrazia è stato causato non da generali e soldati ma dai governi eletti. Come Chàvez in Venezuela, i leader eletti hanno sovvertito le istituzioni democratiche in Georgia, Ungheria, Nicaragua, Perù, Filippine, Polonia, Russia, Sri Lanka, Turchia e Ucraina. La morte della democrazia oggi inizia nell’urna elettorale.

La via elettorale è pericolosamente ingannevole. Con il classico colpo di stato, come nel Cile di Pinochet, la morte della democrazia è immediata ed evidente a tutti. Il palazzo presidenziale brucia. Il presidente viene ucciso, imprigionato, o cacciato in esilio. La costituzione viene sospesa o eliminata del tutto. Ma sulla via elettorale non accade nulla di tutto ciò. Non ci sono carri armati per le strade. Le costituzioni e altre istituzioni formalmente democratiche rimangono al loro posto. La gente continua a votare. Gli autocrati eletti mantengono un’apparenza di democrazia mentre ne eviscerano la sostanza.

Molti degli sforzi di questi governi di sovvertire la democrazia sono “legali”, nel senso che sono approvati dal parlamento o approvati dalle corti. Potrebbero addirittura essere rappresentati come tentativi di migliorare la democrazia – rendere la giustizia più efficiente, combattere la corruzione o semplificare il processo elettorale. I quotidiani continuano ad essere pubblicati ma vengono comprati o bullizzati fino all’autocensura. I cittadini continuano a criticare il governo ma sempre più spesso si trovano ad affrontare problemi legali o fiscali. Questo genera confusione nell’opinione pubblica. La gente non si rende conto immediatamente di quel che accade. Molti continuano a credere di vivere in una democrazia. Nel 2011, durante un sondaggio di Latinobaròmetro in cui si chiedeva ai venezuelani di classificare il proprio paese da 1 (“per niente democratico”) a 10 (“completamente democratico”), il 51 per cento degli intervistati ha dato un voto di 8 o superiore.

Poiché non esiste un singolo momento – niente colpo di stato, nessuna dichiarazione di legge marziale o sospensione della costituzione – in cui un regime diviene chiaramente una dittatura, potrebbe non esserci nulla a far scattare i campanelli d’allarme nella società. Coloro che denunciano gli abusi del governo potrebbero essere accusati di esagerare o di gridare al lupo. Per molti, l’erosione della Democrazia è quasi impercettibile.

In vendita su Amazon in inglese: How democracies die




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